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martedì 13 luglio 2010

La sfida dell’identità

Nel dire la mia su quest’epoca stupida, che anzi epoca non è, per l’assottigliamento culturale, per lo schiacciamento del vivere e del ragionare dentro la categoria della merce, unico dio rimasto in vita, spesso ho criticato chi vi si contrapponeva in nome dell’identità. L’identità comunista, intendo, naturalmente: quella grande, nata nel ‘900 con le rivoluzioni di inizio secolo e cresciuta nel dopo guerra con l’emergere dell’operaio-massa e delle enormi concentrazioni industriali... (leggi tutto l'intervento)

2 commenti:

gabriele ha detto...

"E allora: manca, è vero, in Italia e in Europa una organizzazione-istituzione, un partito che abbia la “connessione sentimentale” con il popolo del lavoro. Se ci fosse, io credo che i comunisti dovrebbero starci dentro. Ma dico di più: oggi i comunisti dovrebbero dedicare tutte le loro forze a costruirlo, questo partito del popolo del lavoro."
scusa giosuè ma mi sembra una forma meno dotta del "comunismo come corrente culturale all'interno di un più grande partito della sinistra", di bertinottiana memoria, che molti compagni, fra cui proprio tu, criticarono così duramente, (proprio in difesa della "identità")da farne il punto di partenza per quel violento cambio al vertice che fu anticamera della scissione con noi vendoliani. Tutti redenti in meno di un anno e mezzo? tutti impegnati a fare da pontieri o genieri come vuoi chiamarli tu? tutti impegnati ora a pontificare su "bisogna intenderci su cosa significa sinistra", e magari aggiungo io, disposti a fare il sacrificio, con il cappio alla gola (e le solite trite quanto vane critiche al leaderismo) di riconoscere magari a un vendola (dico per dire eh...dio ce ne scampi...) la leadership di questo partito del lavoro? La domanda è: cosa è cambiato in un anno e mezzo? era solo un tentativo maldestro di sostituzione al vertice per il controllo del partito? Se è così basta dirlo e certamente verrà riconosciuta la saggezza di chi sa riconoscere gli errori, ma non serve certo confondere e nascondersi dietro tutte queste analisi sulla "fase" e sul novecento e sull'"operaio massa"...
con stima
gabriele

giosuè bove ha detto...

Sono andato oltre l'autocritica che tu richiedi e che pure ho fatto al punto da uscire da rifondazione: credo che per costruire il partito del popolo del lavoro (non del lavoro, ma contro il lavoro, è opportuno precisare) è necessario che venga messo in discussione pesantemente il quadro politico a sinistra. Si,Vendola potrebbe essere un buon leader di una sinistra che invece delle formule ideologiche o politiciste metta al centro il nudo interesse della classe che intende rappresentare. La destra lo fa bene e con coerenza, naturalmente a favore del sistema delle imprese. La sinistra no, pur avendo come potenziali interlocutori la stragrande maggioranza della popolazione (vive direttamente o indirettamente di lavoro dipendente o assimilabile oltre il 90% dei cittadini). Si tratta di lavorarci senza stare sempre a recriminare, altrimenti non ne usciamo.